La cadenza implacabile del tempo, si scandiva nel
silenzio di uno dei saloni della reggia Turnàd.
Gualtiero aveva cenato con la moglie incinta
mostrandosi premuroso e di compagnia, dopo, prima di congedarsi dalla tavola,
lasciò cadere con leggerezza e noncuranza un accenno alla sua volontà di
recarsi al circolo degli industriali, per giocare un po’ a scacchi e tirare
fino a tardi. Naturalmente, lei non oppose la minima obiezione. Ora, solo nello
studio, ascoltava il rintocco della massiccia pendola intarsiata e attendeva
che l’auto inviatagli da Zock giungesse puntuale. Allo scoccare dell’undicesima
ora postmeridiana, i fari di un mezzo falciarono il buio dei boschi circostanti.
Gualtiero si alzò pesantemente dalla sedia e scese di sotto, nel marmoreo
androne, mentre una cameriera dalla cuffia immacolata, lo aiutava ad indossare
la sua palandrana e gli porgeva tuba e bastone. Un maggiordomo aprì il portone
leggermente cigolante; sull’uscio, attendeva un autista vestito di pelle nera
nella giacca, nei pantaloni e negli stivali. Era magro e pallido, il volto
scavato e gli occhi illeggibili sotto la visiera del cappello, anch’esso di
pelle nera. Quando se lo tolse, in segno di saluto e rispetto, scoprì un cranio
perfettamente lucido, sembrava che gli unici peli del suo volto, fossero le
ciglia e due baffi neri. Disse: - Gualtiero Turnàd-Zock?
Per un momento, Gualtiero, rimase indispettito dalla
naturalezza con la quale l’autista aveva pronunciato il suo nome, senza altri
appellativi ad introdurlo, poi, il pensiero di quel che lo attendeva, lasciò
calare nell’oblio quella ridicola leggerezza. Rispose di sì. L’autista sorrise
enigmatico e gli indicò la portiera spalancata della berlina mormorante.-
Prego, signore.
Gualtiero prese posto sul soffice divano posteriore.
Un vetro nero e impenetrabile, separava l’abitacolo dal posto guida. Tra il
cuoio, la radica ed i velluti, spiccavano un umidificatore per sigari e dei
vani ghiacciati per lo spumante. Prelevò un sigaro dal colore scuro e un’aroma
spiccatamente fragrante, lo annusò ripetutamente mentre si lasciava
sprofondare, languido, contro lo schienale opulento. Il tabacco aveva un odore
piacevolmente dolciastro, assieme alle foglie arrotolate, una mano esperta
doveva aver mescolato qualche sostanza esotica e raffinata. La voce
dell’autista, filtrata da una grata decorata, gli indicò il vano
dell’accendino. Il passeggero, volontariamente in balìa degli eventi, non volle
preoccuparsi di come il conducente potesse esser a conoscenza del fatto che
voleva fumare, nonostante il vetro impenetrabile che li divideva;
semplicemente, prese l’oggettino in avorio lavorato e si accese il sigaro. Tirò
alcune boccate lente, assaporando il fumo e cercando di coglierne le essenze.
Sospettava canapa d’oriente o qualche varietà d’oppio sersiano. Con la testa
leggermente alleggerita, il capo reclinato contro il poggiatesta rivestito di
marocchino rosso, Gualtiero vide la che macchina si avvicinava a Gorreal. Riconosceva
la Tur d’Or, il
palazzo reale, un maniero imponente, costruito su di un altopiano che dominava
il resto della città. Lampioni dalla luce ambrata, rendevano fede al suo nome.
Si sviluppava essenzialmente in altezza, come a voler sottolineare una propensione
spirituale costante all’elevazione del regno, bastioni turriti e contrafforti
merlettati, ornavano la struttura centrale come i ricami di un abito,
molteplici bandiere sembravano garrire perennemente, dall’alto dei pennoni
issati sui tetti conici e aguzzi. Il resto della città si estendeva come un
tappeto sontuoso, intrecciato di viali eleganti, palazzi imperiosi, cattedrali
austere. In breve, il panorama si diradò, man mano che la vettura si addentrava
nell’urbe; Gualtiero vide sfilare davanti a se’ le ampie piazze, dominate da
giochi d’acqua o possenti statue di guerrieri e monarchi, santi e martiri,
filosofi e sapienti. Oltrepassarono il centro mondano, lasciandosi alle spalle
il frontale eburneo del palazzo di giustizia, circumnavigarono il verde fitto
del parco Madama Valeria, uno dei principali polmoni verdi della capitale e
oltre il lago Ibis, una distesa irregolare di vetro notturno sulla cui
superficie le luci ripetevano un firmamento in miniatura, le mura grigie della
città vecchia sembravano richiudersi sull’automobile, come le colonne
incombenti e ricurve della gabbia toracica di un mostro dentro un incubo
estraniante.
Ora, lo
sfavillare delle glorie della capitale, era meno oscurato dalle viuzze
labirintiche e dai vicoli bui, in quei bassifondi, dalle strade composte
d’umidi e viscidi cubetti di porfido, levigati dai secoli e dalla sporcizia. La
gloria del regno, lì era cantata da ubriachi e disperati, storpi e pezzenti che
rivolgevano al lontano lucore della Tur d’Or, le loro blasfeme benedizioni, al
sapore di malattie e supplizi, esalate da bocche piene di denti cariati e aliti
fetidi di vino scadente. La vettura sfilò di fronte ad un vecchio monastero
decrepito, appena una sagoma di pietra, con fessure al posto delle finestre e
portoni con borchie rugginose, a ridosso del quale, era stata eretta una
casaforte dalle mura massicce, le finestre sprangate, un canale d’acqua color
dell’inchiostro che scorreva attraverso le palafitte ricoperte di molluschi
insignificanti. Parte della casaforte si proiettava direttamente su quel canale
virulento, indifferente alle esalazioni marcescenti delle carogne di topi di
fogna trasportati dalla corrente implacabile. L’automobile arrestò il suo
percorso davanti a questa struttura ammantata dall’oscurità dei vicoli che la
attorniavano. Gualtiero udì la portiera del conducente aprirsi, i passi netti
del suo novello Caronte avvicinarsi, la portiera del passeggero spalancarsi,
lasciando entrare umidità e un odore vago ma percettibile, che ricordava un
misto di funghi marci e rame ossidato. L’autista si fece da parte, il cappello
in mano, gli rivolse uno sguardo malizioso d’invito e gli indicò una porticina
claustrofobica, incassata nelle mura scabre, alla quale si accedeva dopo essere
disceso alcuni gradini sprofondati nel selciato della strada, l’unica
illuminazione era assicurata da una lanterna a gas dalla fiammella tremula e
moribonda; attorno ad essa, alcune grasse falene vorticavano come forsennate,
in preda ad una danza sabbatica. – Prego, signore.- disse l’autista. Gualtiero
scese, lo sguardo rapito dagli insetti schiavi della luce effimera. Il suo
accompagnatore gl'indicò la strada, scendendo gli scalini con lenta prudenza.
Alla porticina, estrasse un biglietto cartonato, battè un solo colpo contro lo sportello
dello spioncino e infilò il lasciapassare in un fessura sottostante. Subito
dopo, l’uscio fu aperto, inondando la nicchia di una luce rossastra. Gualtiero
colse anche della musica vaga, una folata di calore, un odore piuttosto marcato
d’incenso.
-Omnialudo.- gli sussurrò all’orecchio l’autista
congedandosi. Gualtiero mosse un passo verso l’uscio aperto. Davanti a lui, si
era materializzata una seconda figura, grande e imponente; era una specie di
gigante dalla pelle gialla, gli occhi ridotti a due fessure nere, il cranio
pelato, le braccia nude, come due clave incrociate sul petto. Indossava calzoni
di cuoio con borchie luccicanti, alti stivali dalla punta ricurva e un
cinturone, dal quale pendeva un lungo coltello dalla lama a spirale, alle spalle
di quell’impassibile guardiano, lo attendeva il Cardinale Zock. Indossava una
semplice tunica porporina, pantofole broccate e uno zuccotto di velluto viola.
Nessun paramento sacro.– Prego, amico mio. Non lasciarti intimidire da Balan,
lui squarta solamente a comando.- Il colossale guardiano si spostò
silenziosamente, il nuovo arrivato varcò la soglia mentre la porta era
nuovamente sprangata. Zock lo prese sottobraccio. Una ragazza venne loro
incontro. Era mascherata da una striscia di pelle e indossava un corpino
stretto da una complessa serie di lacci intrecciati, velate calze nere erano
sorrette da giarrettiere borchiate e un collare di spine ornava il lungo collo
esile. Si fece dare cappello, bastone e palandrana, come un’impeccabile
cameriera di buona famiglia e scomparve dietro un guardaroba ornato da tende
rosse. Gualtiero la seguì con lo sguardo, affascinato dall’ondeggiare delle
anche della ragazza, Zock sogghignò e disse: - Adesso non è il momento. Non sei
ancora affiliato. Successivamente,
potrai possedere quella ragazza in ogni modo tu preferirai.- una pausa – Quella
ragazza come altre, o altri. Qualunque cosa la tua fantasia sia in grado di
concepire.
-Sembra la descrizione di un paradiso terreno.
-Il nome di questo nostro piccolo circolo esclusivo,
non è per nulla casuale.- gli spiegò Zock.
Abbandonarono l’anticamera per infilarsi in un lungo
corridoio illuminato da candele rosse, la musica, una qualche sonata per
clavicembalo, era più forte ma sovrastata da un chiacchierio fitto,
inframmezzato da risate, gridolini e rumori argentini di calici battuti tra
loro in brindisi continui. Zock scostò un pesante tendaggio di velluto nero,
dietro al quale si apriva un salone riccamente arredato, popolato da una fauna
di frequentatori eterogenei.- Prima voglio spiegarti a grandi linee la
filosofia del nostro club.- entrarono nel salone. Il centro era dominato da un
grosso bancone anulare, attorno al quale, due baristi si affaccendavano a
servire la clientela. Su quella che sembrava una pista da ballo, due donne,
vestite di sete sgargianti, si baciavano appassionatamente, mentre le loro mani
si frugavano reciprocamente tra le vesti; attorno alle due saffiche compagne,
gruppi d’uomini e donne, languidamente distesi su divanetti trapuntati,
contemplavano quella passione ostentata. Gualtiero, rimase un istante rapito
dallo spettacolo mentre Zock si procurava due calici di vino bianco.- Questo è
soltanto uno stuzzichino.- gli disse –Giusto per entrare con dolcezza nello
spirito del posto.- Improvvisamente, una donna molto grassa e molto
ingioiellata, emerse dal pubblico, spogliandosi, salì sul palchetto e iniziò ad
unirsi all'idillio delle due amanti. Qualcuno applaudì.
Con gentilezza, Zock distolse il suo nuovo pupillo
dalla sua contemplazione e lo deviò verso un’uscita.- Come ti stavo dicendo,
Gualtiero, questa sala è soltanto una leggera introduzione a tutto quel che può
offrire Omnialudo. Innanzitutto, è importante sottolineare che il nostro club è
segreto ed esclusivo. Esiste da relativamente poco, giusto qualche decennio e
non è reperibile nessun’informazione su Chi sia stato il suo ideatore.
Omnialudo è stato fondato sull’onda delle esigenze dei potenti. La detenzione
del potere comporta uno stato di tensione continua. Non stiamo parlando di
persone normali, ma di dominatori, eletti, capi, pastori. Mi segui? Ricordi il
discorso che abbiamo fatto nel tuo studio?- Gualtiero annuì, rapito.- Un
potente non ha una vita normale, bensì eccezionale e di conseguenza, anche le
sue esigenze, esulano dall’ordinarietà. Omnialudo si è prefissato questo
compito. Ovviamente, tutti noi abbiamo segreti. Qua da noi, il segreto diventa
desiderio espresso, nel pieno rispetto della sua natura. Sesso, perversioni,
deviazioni, giochi proibiti, tutto è possibile tra queste pareti. Cose al di
sopra d’ogni possibile immaginazione, accadono tutte le notti nelle nostre
alcove, nelle nostre segrete, ovunque.
Ora proseguivano un lento cammino attraverso un
altro corridoio, su entrambi i lati, numerose porte di mogano intarsiato
celavano la realizzazione delle parole del cardinale. Uno degli usci si
spalancò di colpo e un uomo magro, nudo, completamente imbrattato di sangue e
di feci, si lasciò cadere sul soffice tappeto monocolore. Ansimava
profondamente e i suoi occhi chiari, erano dilatati su una dimensione lontana
dalla realtà tanto quanto un astro remoto. Gualtiero indietreggiò, disgustato
da quella vista ma Zock, indifferente, si chinò sulla figura messa a quattro
zampe, una tenue smorfia sul suo volto, tradiva il diffondersi dell’odore di fluidi
organici, che filtrava dalla camera abbandonata dal cliente stravolto.- Cosa..-
mormorò Gualtiero, confuso e sorpreso da quel traumatico intervallo. Zock si
alzò e sbirciò nella camera, sporse le labbra in fuori, come preda di un
cruccio fastidioso. A fianco dell’uscio, pendeva un cordone dorato con un
pomello frangiato che il Cardinale tirò. Poco dopo, due robusti servitori in
livrea di cuoio e cappucci neri, arrivarono, silenziosi, Zock indicò loro
l’interno della camera e questi, prontamente, entrarono, uscendo
successivamente, reggendo un grosso fagotto zuppo di sangue, tanto che qualche
goccia vermiglia, gocciolava ripetutamente dal fondo. Arrivò anche l’autista,
il quale porse l’orecchio al suo signore.
Il cliente, improvvisamente, parve rinsavire. Si
sedette su una poltroncina vicina mentre i suoi occhi riacquistavano lucidità e
barlumi d’intelligenza, con indifferenza, si passava le mani viscide sul petto
impiastricciato. Zock gli si avvicinò di nuovo e con voce suadente e pacata gli
parlò: - Baronetto Zavi? Mi sente? Va tutto bene. Si trova all’Omnialudo. Stia
tranquillo.- l’uomo nudo tirò su col naso, fissò Zock con occhi disperati e
lentamente, calando nuovamente nel mondo che lo circondava, i tratti del suo
volto parvero ringiovanire, rivelando quel che si celava dietro la maschera
allucinata che prima ostentava: un giovane uomo dai tratti delicati e i capelli
lisci che si era appena svegliato da un’apocalisse interiore. Parlò, rivelando
una voce calma, dal tono acculturato: - Devo lavarmi. Ho bisogno di una doccia,
acqua calda, sapone profumato, oli vegetali e borotalco, qualche ancella che mi
aiuti..
-Naturalmente, baronetto Zavi. Sa bene che
l’Omnialudo pensa a tutto.- alcune ragazze vestite di bianco arrivarono,
reggendo asciugamani e accappatoi, le loro vesti avevano ampie scollature che
scoprivano i seni fino ai capezzoli, lasciandoli spuntare dai bordi di pizzo.
Il baronetto abbandonò il luogo del suo personale oblio, lasciando una leggera
scia di sangue sporco.
-Come ti stavo appunto spiegando.- riprese il
cardinale- Da noi è fattibile qualunque cosa si voglia fare. Nel senso più
completo e assoluto del termine. Affascinante vero?
-Terribilmente.- Gualtiero avvertiva un senso di
saturazione, lenta e costante, come se ad ogni angolo, un nuovo portento
occupasse i suoi pensieri. Era anche inorridito, ma quella reazione era
costantemente diluita da una fascinazione fortissima, che lo spingeva a
desiderare di vedere di più e ancora. Zock, con fare da cicerone, proseguiva
nelle sue delucidazioni: - Il concetto di proibito, all’Omnialudo è
sostanzialmente sconosciuto. Le uniche proibizioni sono essenzialmente le
indiscrezioni sul club stesso. E con questo, entriamo nell’ambito del
regolamento. Ogni club ha il suo regolamento, il nostro non fa eccezione.
-Certamente- convenne Gualtiero. Nel frattempo,
avevano abbandonato l’ennesimo corridoio e si erano infilati in una sontuosa
sala da pranzo. Camerieri in frac e guanti bianchi si avvicendavano attorno ad
una lunga tavola, imbandita come ad una cena di gala. Gualtiero osservava i
vini di pregio che erano mesciuti con generosa abbondanza, le posate d’argento
scintillante, i commensali, alcuni di loro grassi all’inverosimile, che
consumavano una personale orgia gastronomica, satollandosi come otri capienti.
Due dei servitori, fecero ingresso sorreggendo un voluminoso piatto da portata,
protetto da un coperchio a cupola, lo posarono al centro della tavola e lo
scoprirono con un gesto plateale. Gualtiero si raggelò, fermo, come se le suole
delle sue scarpe fossero state fulmineamente inchiodate al parquet disseminato
di briciole. Il piatto forte di quel pantagruelico ed osceno banchetto, era
rappresentato da due grassi neonati, cotti a puntino, con la pelle dorata e
lucida d’olio e spezie, giusto un po’ crepata lungo le soffici natiche; gli
occhi erano serrati e le piccole bocche ancora sdentate, spalancate in urla
senza suoni. Dormivano il loro sonno eterno sopra un letto in foglie di
lattuga, contornati da patate lesse cosparse d’origano e rosmarino. Lo chef,
aveva aggiunto una nota di colore, ornando il piatto con ravanelli tagliati a
guisa di piccoli fiori appena sbocciati, quasi un ironico e tragico
parallelismo tra quelle decorazioni e le due vite non ancora incominciate,
stroncate da un appetito che era più grande e prepotente del mondo che
diversamente li avrebbe attesi.
Gualtiero sentì il braccio di Zock infilarsi sotto
il proprio. Il cardinale gli disse: - Come stai vedendo, non c’è capriccio
inesaudibile. Vedi il corpulento signore a capotavola? Non ti appare un volto
noto? Certo, quando viene all’Omnialudo, si lascia un po’ andare, sai,
l’etichetta di corte è un po’ rigida.
-Il duca di Naterra, il consigliere del Re per
l’istruzione.- rispose lentamente, Gualtiero. Zock sorrise sornione. -Esattamente.
Gli sono sempre piaciuti i bambini.
Il
Cardinale accompagnò Gualtiero lontano dagli ospiti della cena e lo pilotò
attraverso un dedalo di saloni ed alcove, scendendo gradatamente sotto il
livello del suolo. Improvvisamente, Gualtiero si rese conto che la musica del
clavicembalo non era più udibile e che alla sontuosa tappezzeria decorata, si
erano sostituite mura umide e ammuffite, stillanti condensa, come la patina di
sudore sulla pelle di un uomo terrorizzato o moribondo. Si trovavano
all’interno di un locale circolare, al cui centro, spiccava una pesante botola
di ghisa, alla quale era collegata una spessa catena che si perdeva nel buio
sovrastante. Un corpulento guardiano dai calzoni di cuoio e una grossa pistola
nella fondina, sorvegliava silenzioso e indifferente. Zock gli rivolse soltanto
un cenno del capo.- Ci aspettano, Gualtiero.- gli disse. L’uomo armato azionò
una leva che sporgeva dalla parete e con un cigolio sinistro, la catena si
mosse, sollevando lentamente la botola. Si scoprì un budello maleodorante,
illuminato da fiaccole tremolanti; scalini smussati. Calavano giù, in una
spirale di pietra spettrale. Zock si calò per primo, ostentando una noncuranza
e una solenne serenità che erano le medesime che lo caratterizzavano
sull’altare.
La
cognizione dello spazio e del tempo, per Gualtiero, erano ormai astrazioni
remote, la cui determinazione risultava ardua e difficoltosa. Non aveva più
idea dell’ora che fosse e men che meno, in che punto della casaforte si
trovasse in quel momento. L’aria odorava di muffa, di legna marcia e, forse,
anche un po’ di zolfo, ma non sapeva se quella fosse una suggestione o una
percezione effettiva e lucida. Alla fine della ripida e insicura scala a
chiocciola, c’era una specie di tetra anticamera, sempre di forma circolare,
illuminata anch’essa da fiaccole dalla luce rovente. Un uomo, o la sua parodia,
giaceva inginocchiato sul pavimento di pietra levigata, i polsi ammanettati a
delle catene imbullonate nel muro alle sue spalle. Presentava un fisico
denutrito e scheletrico, ferite sanguinolente, alcune incancrenite; era nudo e
Gualtiero, anche se non consciamente, ne sbirciò i genitali, punteggiati di
bruciature da sigarette. I capelli lunghi e unti, gli coprivano il viso. Una
donna bellissima, inguainata in un abito da sera con spacco e strascico, lo
osservava con occhi turchesi, un sottile tacco a spillo che batteva
aritmicamente sul suolo. Era perfettamente acconciata e la sua crocchia
corvina, era fermata da una coroncina di brillanti. Zock le andò in contro,
baciandole le guance d’alabastro: - Leuse. Carissima. Come stai?- la donna non
rispose subito, scrutò, bensì, Gualtiero.- Chi è?- domandò, il tono era severo
e venato marcatamente da un sospetto velenoso. Zock accompagnò la sua risposta
con un ampio svolazzo della sua mano inanellata.- Non lo riconosci?
-Il suo volto non mi è nuovo.
-Basterà il suo cognome. Turnàd. - Leuse reclinò il
capo, socchiudendo le labbra porporine e portandosi una mano dalle unghie
laccate al petto. Emise un monosillabo che, Gualtiero suppose, fosse, da parte
sua, una dimostrazione di rispetto oppure d’ammirazione; decise così di
presentarsi, accennando un inchino: - Gualtiero Zock-Turnàd, signora. Al vostro
servizio.
-Leuse Delfinus-Ovest. Marchesa di Nebius.- I
Delfinus-Ovest appartenevano all’alta aristocrazia, legati saldamente ad un
ramo cadetto della famiglia reale. Gualtiero aveva già intrattenuto rapporti
con i parenti della marchesa. Figure importanti, a dialogo diretto con il Re e
con il suo consiglio.
-Il nostro Gualtiero ha dimostrato doti
rimarchevoli, oltre ad un’encomiabile volontà per entrare nel nostro piccolo
club.- Leuse si portò un lungo indice alla tempia mentre squadrava il nuovo
arrivato.- Un Turnàd..- mormorò, sembrava che facesse rigirare la parola nella
bocca, come una caramella, per valutarne il sapore.- Acciaierie, industrie
pesanti, locomotive, banche...- mentalmente riassumeva e giudicava gli
strumenti del potere in mano al clan di Gualtiero.- Sarebbe il primo, vero?-
domandò ancora, rivolgendosi al Cardinale. – Esattamente.- rispose
quest’ultimo.- Una giunta preziosa, a mio parere.
-Vedremo.- si limitò a commentare la marchesa.-
Finisco di giocare e vi raggiungo, signori.- aggiunse mentre, da un tavolo
d’acciaio, sceglieva uno strumento lucido e acuminato, provvisto di un lungo
manico di gomma.
I due
uomini entrarono nella camera successiva. Come un cuore tumescente e maligno,
la cripta occupava le viscere sotterranee della casaforte Omnialudo, e come
ogni cripta, tombe, incunaboli, croci e un altare di pietra, ne componevano
l’arredamento. Le fiaccole erano state sostituite da un massiccio e incombente
lampadario di ferro battuto, illuminato da circoli concentrici di candele nere.
Tutto attorno al perimetro, riprendendo la circolarità degli elementi presenti,
scranni di legno grezzo contornavano la stanza, quasi tutti occupati, ora.
Diverse nicchie, erano chiuse con pesanti grate rugginose, alcune, erano
occupate da figure lacere, di cenci vestite. Gualtiero notò come il pavimento,
stavolta fosse di piastrelle d’ottima fattura e il loro motivo, si combinava in
un ampio pentacolo, il cui epicentro, era rappresentato dall’altare. Zock
accompagnò Gualtiero fin di fronte ad un cuscino, morbidamente appoggiato sul
pavimento e lo invitò, con una pressione sulle spalle, ad inginocchiarsi su
esso. Il Cardinale gli girò attorno e si mise all’altare, sul quale lo
attendevano un trincetto chirurgico e alcuni tamponi di garza. In una gabbia
vicina, una capra spaurita belava la sua inquietudine nell’aria densa di fumi drogati.
Gualtiero inspirò, ansioso; la testa gli sembrava piena d’ovatta. Si guardò
attorno, scrutando i membri del club che man mano si univano alla sua
iniziazione. Riconobbe altri nobili altolocati, finanzieri, giudici, un
generale e un commodoro della regia marina. Vide anche dei parenti, che i suoi
informatori non erano riusciti a scovare, soprattutto della famiglia Henke.
Questi ultimi, gli rivolsero cenni del capo e sorrisi calorosi, come ad una
sulfurea cresima. Per ultima, si unì la marchesa di Nebius, sempre splendida ed
elegante; uno sbaffo rosso le ornava la tempia destra. Gualtiero indugiò su di
lei affascinato.
Le porte
furono sprangate con un tonfo lugubre, un silenzio tangibile attraversava
l’aria immota, rendendo l’ambiente ancora più soffocante. Zock si volse in
direzione di un grosso crocifisso, schioccò le dita tozze e due servitori
incappucciati, comparvero dall’ombra, per capovolgere il sacro emblema.- Cari
soci.- esordì Zock – Come preannunciato, ecco un nuovo adepto. Anche se non più
necessario, mi pare doveroso presentarlo: Gualtiero Zock-Turnàd, capitano
d’industria ed emerito del regno.- seguì un applauso assolutamente di maniera.
– Come vuole la tradizione, esporrò al neofita le nostre brevi regole di
convivenza e dopo passeremo all’iniziazione. Gualtiero Zock-Turnàd, sei
disposto a mantenere il più stretto segreto riguardo il nostro circolo? Dì lo
giuro.
-Lo giuro.
-Sei disposto a mantenere tale segreto anche a costo
della morte?
-Lo giuro.
-Sei disposto ad uccidere o far uccidere per
difendere questo segreto?
-Sì, lo giuro.
-Sei disposto ad aiutare in ogni modo possibile e
fattibile, ogni altro membro del club?
-Lo giuro.
-Sappi che ogni mancata osservanza, sarà punita
nella misura del danno che si provoca. Porgi la mano destra.
Gualtiero allungò il braccio, fino a posarlo sul
velluto della tovaglia che ricopriva l’altare, la mano tremava leggermente.
Zock gli rivolse un sorriso d’incoraggiamento. – Non temere.- gli sussurrò –E’
soltanto un attimo.- Prese il trincetto con la destra, mentre con la sinistra,
con delicatezza, sceglieva l’anulare; selezionò con dita esperte la prima
falange e la guidò tra le lame insidiose. Gualtiero si ritrovò a sudare
copiosamente, con gocce salate come lagrime che gli scivolavano sul volto ardente,
avvertì il tocco insinuante dell’acciaio chirurgico sull’epidermide
ipersensibilizzata.
Zock serrò la stretta con una mossa fulminea, le
lame si richiusero con un sottile sfregare l’una contro l’altra, Gualtiero
sentì una fitta lancinante, che gli proiettò scintille bluastre nel buio
dinamico delle sue palpebre chiuse. Aspirò aria convulsamente, senza riuscire a
emettere suoni. Una ragazza, anche lei in bustino di pelle con laccetti
intricati, gli stava fasciando il moncherino. La parte amputata, invece, era
stata recuperata e posata su un piattino di ceramica. La ragazza, con mani
esperte strinse la fasciatura e gli infilò in bocca un dito, intriso di un
qualcosa di freddo e amaro. Gualtiero succhiò il dito, come se il sapore
rivoltante della sostanza che lo ricopriva, lo distraesse dal dolore pulsante e
crescente che avvertiva in lui. La sua perversa infermiera gli sussurrò
all’orecchio parole rassicuranti. Zock lo invitò ad alzarsi, attorno, gli
astanti applaudivano, ma con un diverso e più sincero entusiasmo. – La prima
fase è ultimata. Benvenuto all’Omnialudo.- lo abbracciò con forza. Gualtiero si
sentiva la bocca intorpidita e insensibile, il dolore al moncherino, era
soltanto più un battito costante ma insignificante.
Bottiglie di spumante furono stappate, schiuma e
turaccioli volanti, rallegrarono l’interno oppressivo della cripta come ad una
festa di compleanno. Leuse porse a Gualtiero una coppa di cristallo, le sue
lunghe ciglia, si muovevano come le pinne suadenti di un pesce tropicale.
Riceveva a turno, pacche sulle spalle, congratulazioni e baci a fior di labbra
sulle guance fredde. Si sentiva avvolto da un alone di vuoto isolante, tutto
ciò che lo attorniava, sembrava deformato da una lente psichedelica. Dopo, con
la stessa improvvisa subitaneità dell’inizio, la piccola festa finì. I presenti
si raccolsero attorno all’adepto e gli indicarono l’altare. Senza che se ne
fosse reso conto, dietro la struttura in pietra, si era aperto un secondo e più
recondito budello, dal quale Zock, faceva capolino.
Reggeva una fiaccola e gli faceva cenno di seguirlo,
lo sguardo era austero, il mento alto. – Sempre più giù.- gli disse – La
discesa, è un cammino indispensabile all’Omnialudo.- Gualtiero lo seguì, aveva
la sensazione di camminare sul ponte rollante di una nave in balìa dei marosi,
mani estranee, da dietro, lo sorreggevano; una, più lasciva, si era insinuata
tra le gambe. Lui non la scacciò.
Scesero
gradini infiniti. Gualtiero pensava di trovare, da un momento all’altro, fiumi
di lava infernale. Alla fine si ritrovò in un ambiente più vasto, disseminato
di celle buie. Un secondo e più ampio pentacolo, era disegnato con cura
maniacale sulla pietra levigata. Da qualche parte, udiva lamenti
inintelligibili, sarebbero potuto appartenere a uomini decaduti come ad animali
segnati.
-Questa è la sala delle evocazioni.- annunciò Zock,
la voce solenne delle grandi occasioni.- Qua, intrappoleremo il tuo demone
personale, lo legheremo alla tua persona e avrà inizio il culmine di ogni
sfruttamento. Sei pronto?- Gualtiero, udendo le parole del Cardinale, sentì un
guizzo vivace palpitargli nel petto e un nuovo, bramoso entusiasmo,
attraversarlo come una sottile e stimolante scossa elettrica. – Sì – rispose
con la voce ancora impastata. Deglutì e chiese: - Cosa devo fare?
-Uccidere.- rispose il suo officiante. – Devi
sacrificare una vita per ben predisporre il nostro malefico schiavo.
-Chi?- Zock alzò le spalle con noncuranza: - Oh,
abbiamo un piccolo serraglio di creature perfettamente inutili.- indicò una
cella sprangata da grate acuminate- L’ideale erano dei neonati, ma quelli
stasera li abbiamo finiti. Una verginella? Penso che loro, la sotto, lo
apprezzino altrettanto.
Gualtiero annuì senza parole. Qualcuno aprì la cella
e ne uscì stringendo per i polsi una ragazzina di circa dodici anni,
magrissima, sporca, totalmente annichilita dal terrore, dalla maschera dei
capelli biondi e scarmigliati, fulgevano due occhi enormi, sgranati. La
ragazzina emetteva soltanto più degli squittii, come se tutto il fiato che
aveva per piangere e urlare, si fosse estinto per l’usura; era vestita di
stracci e dal corpicino rachitico, s’intuiva comunque l’idea di due seni
piccoli e nervosi. Cercava di rannicchiarsi, come se dovesse implodere in un
più rassicurante oblio personale, nonostante il braccio nudo e nerboruto che le
stringeva il polso. – Che ne dici? Lo giudichi un obolo sufficiente?
-Mi affido alla tua esperienza.- rispose Gualtiero.
Zock, interpretò la risposta come un invito a procedere con la cerimonia. I
servitori incappucciati, capovolsero tutte le croci presenti e sgozzarono senza
altri indugi una capra. Il sangue della bestia morta, fu cosparso a formare
disegni intraducibili, al centro del pentacolo. Il cardinale, al centro della
figura, iniziò a formulare frasi in una lingua morta, che Gualtiero non aveva
mai udito prima; L’evocatore, pronunciava parole astruse, apparentemente con
pochissime vocali e il tono della sua voce, sembrava mutato, più basso eppure
più incisivo e sonoro. Accompagnava le formule con serie di sputi. Dopo, a un
suo gesto, delle ancelle nude entrarono del circolo magico e sparsero altre
sostanze organiche sul pentacolo: altro sangue, saliva, sperma, secrezioni
vaginali, feci. L’evocatore riprese la sua litania, attorno a lui, gli altri
presenti, mormoravano a bocca chiusa e i servitori battevano su tamburi di
pelle umana, una raccapricciante cadenza. Un'ancella portò la testa della capra
su un vassoio d’argento. Zock la prese, la scrutò negli occhi e la levò al
cielo. Gualtiero, andando oltre le nauseabonde simbologie, avvertì una diversa
tensione nell’aria, sentiva i capelli rizzarsi gradatamente, la pelle del dorso
delle mani e del collo, accapponarsi in preda a un gelo che non sembrava essere
avvertibile diversamente. Gli odori erano più spessi e intraducibili: zolfo,
muffa, sangue, incenso, droghe varie. Forse, era quella la fragranza del male.
Una parte del suo essere, percepiva l’anormalità dell’evento, la sua valvola di
sintonia con la natura, avvertiva la sovversione delle leggi che normalmente la
regolavano. Un palese senso di incombenza gli gonfiava il petto d’ansia.
Gualtiero era terrorizzato e affascinato in egual misura. Qualcuno, parlando
nuovamente una lingua umana, disse: - Portate l’oracolo. Subito.- l’ordine fu
eseguito prontamente. Si udì un cigolio stridente. Erano le ruote di una gabbia
mobile, dentro alla quale, era custodita una creatura.
Gualtiero osò avvicinarsi, per distinguerla meglio fra le
danze frenetiche delle ombre guizzanti che popolavano la sala. L’Oracolo scattò
come un rettile, andando a sbattere contro le sbarre di ferro massiccio e
protendendo le braccia all’esterno come a voler afferrare il Turnàd. Era un
cadavere. Un essere che in condizioni normali, non poteva vivere, muoversi o
parlare. Emanava un puzzo di carogna nauseabondo. Lembi di carne putrefatta,
pendevano dalle membra, come gli stracci di un mendicante. Le dita erano
scheletrite, color della ruggine dove la pelle morta ancora resisteva sulle
ossa ingiallite. Gualtiero osò mettere a fuoco il volto della cosa che aveva di
fronte e distinse un solo occhio glaucomatoso, a tener compagnia all’altra
orbita, invece nera e vuota come una cava, il naso era scomparso per lasciar
posto alla nuda cartilagine e i denti erano il sorriso stesso della morte,
snudati dal tempo e dai parassiti; una coroncina di capelli neri e sfilacciati,
ornava il capo e le spalle del mostro. Il Turnàd fissò come ipnotizzato
l’occhio bianchiccio dell’oracolo e quest’ultimo ammiccò, sussurrandogli parole
marcite: - Tu. Tu puoi. Puoi molto. Osa l’inosabile. Regole infrante creano
nuove regole.- I servitori trascinarono via la gabbia, avvicinandola al
pentacolo. Gualtiero si sentì preda di una vertigine inedita, la sua mente
lottava per scacciare l’orrore della vista e ragionare le parole che aveva ricevuto.
La
cerimonia raggiunse il culmine. Dal centro del pentacolo, si levò una colonna
di fuoco. Un’orgiastica adorazione collettiva, si propagò come un morbo tra i
presenti. Uomini e donne si lasciarono andare a terra, amandosi
forsennatamente, senza spogliarsi, cercando gli orifizi tra gli abiti eleganti,
bocche contro bocche, bocche contro genitali, genitali contro genitali. Un
unico, lussurioso ansimo, coprì gli altri suoni. Gualtiero si guardava fulmineo
attorno, fino ad individuare la
Marchesa di Nebius. Non resistette. Strappò via la donna che
la stava amando e scivolò su di lei, sollevandole il vestito. Lo sguardo di
Leuse era appannato dalla lussuria, la bocca socchiusa, la lingua che guizzava
nell’aria, quando Gualtiero la penetrò. L’amplesso fu veloce, concitato, quasi
indifferente alla consueta sinfonia tattile che lo contornava. Con l’orgasmo,
Gualtiero s’inarcò verso l’alto, mentre con la coda dell’occhio, scrutava Zock,
impegnato nell’evocazione. Vide che uno degli individui incappucciati, stava
portando la ragazzina dal Cardinale. Seppe che era giunto il momento.
Si alzò da Leuse, subito rimpiazzato da una socia
del club. Avanzò, sudato e tremante verso il pentacolo. Il cardinale tratteneva
la vittima sacrificale ai suoi piedi, in mano un lungo pugnale dall’impugnatura
ingioiellata. La colonna di fuoco che era scaturita, ad opera del rito, danzava
con guizzi innaturalmente controllati.- Vieni, Gualtiero. Vieni.- si avvicinò
con passo malfermo, la mente ossessivamente concentrata sulle parole
dell’oracolo: regole infrante creano nuove regole.
Si domandò un momento, quale regola non si sarebbe
osato violare in quel frangente. Zock gli porse il pugnale.- Sii forte,
figliolo.- gli disse. Gualtiero fissò l’arma che stringeva nel palmo scivoloso,
spostò la sua attenzione disincarnata dalla lama a specchio agli occhi sgranati
e traumatizzati della vergine, infine, concentrò la sua attenzione sul
cardinale, illuminato dalle fiamme. Il sacrificio. L’obolo preferito. Il
potere. Sollevò la lama. La luce delle fiamme innaturali, proiettò degli
scintillii cristallini negli occhi dell’evocatore, in piena estasi terrena,
mentre attorno a lui, l’orgia, aggiungeva energia latente al rituale.- ORA.-
gridò Zock – O MAI PIU’.-
Gualtiero Turnàd, segnò per sempre il suo destino.
Calò la lama con un ampio movimento ad arco, superò la ragazza e incontrò,
inarrestabile, la gola esposta del cardinale. Ci fu solamente il suono
dell’aria tagliata dalla lama e lo schizzo ampio di un copioso fiotto di
sangue, fuoriuscito dalla trachea squarciata di Zock. La sala, l’orgia, il
tempo, lo spazio e l’universo intero, si paralizzarono su quella vivace fontana
di sangue, che ridusse la colonna di fuoco ad una fiammella rosso vivo, che
ardeva vivacemente, come un serpentello contorto, ai piedi dell’officiante
appena sgozzato. Il cardinale cadde prima in ginocchio, gli occhi stupiti,
vitrei. Non emetteva suoni, a parte un gorgoglio che accompagnava il defluire
della sua vita sul pentacolo. Come preda di un’esitazione, cercò un’ultima
volta lo sguardo del suo assassino e crollò, rigido come un tronco appena
abbattuto.
La sala
delle evocazioni era stretta in una paralisi traumatica. Tutti i presenti
avevano interrotto i loro accoppiamenti e fissavano, increduli, Gualtiero.
Stringeva ancora la lama che aveva stroncato il suo parente e garante e, ai
suoi piedi, la fiammella, proseguiva imperterrita la sua danza furibonda.
Ansimante, Gualtiero si rivolse all’aria e disse: -
Ecco. Osato l’inosabile. Non ti offro una semplice verginella, bensì il sangue
benedetto di un cardinale della chiesa. Non è forse un’ambrosia forte ed
inebriante? Questo è il mio omaggio. Un’anima privilegiata, strappata al
paradiso.
-IL TRADITORE CI SAREBBE COMUNQUE GIUNTO, ALLA RESA
DEI CONTI.- la voce che rispose, aveva il suono di un tuono, che macinava
montagne con denti di titanio. Faceva rimbombare le pareti, feriva i timpani,
la terra sussultava sotto i piedi, a testimonianza di una forza possente, che
scuoteva gli animi fin nel profondo dell’essenza di ognuno. Gualtiero sentì il
cuore che gli galoppava dentro alla gabbia toracica, come un puledro in preda
al panico in una stalla in fiamme.- Chi sei?
-QUEL CHE VOLEVI.- tutti i membri del club,
servitori e guardiani compresi, si prostrarono istintivamente, respirando la
polvere antica in guisa di penitenza. -Non ti basta il mio sacrificio?
-E’ UN BEL PENSIERO. MOLTO ARDITO. LA TUA AMBIZIONE DEVE
ESSERE GRANDE.
-Grandissima.
-MANCA UN PARTICOLARE.
-Illustramelo.
-UNA PARTE DEL TUO CORPO.- Gualtiero comprese, si
volse al guardiano che tratteneva la ragazza e gli ordinò di salire nella
cripta. L’uomo, senza esitazioni, si precipitò al piano superiore e ritornò,
reggendo il piattino con la falange recisa di Gualtiero. -Ecco.
-BRUCIA IL DONO SULLA FIAMMELLA.- eseguì meccanicamente.
La punta del dito si dissolse in un guizzo lancinante, la voce d’incubo,
torturò ancora l’aria: -ORA TI CONOSCO. GUALTIERO Turnàd. INTERESSANTE.
-Allora?
-IN QUESTO LUOGO NOI DUE NON ABBIAMO Più NULLA DA
DIRE. DOMANI NOTTE. DOPO LA MEZZANOTTE. FATTI TROVARE NEL LOCALE CALDAIE
DELLA VECCHIA FABBRICA Turnàd. A CADMIA.- la voce smise di martoriare
l’ambiente e la piccola fiamma rossa, al centro del pentacolo, si spense
istantaneamente.
Ora,
Gualtiero, si volse in direzione dei soci, pronto ad affrontare la loro
reazione per l’assassinio appena perpetrato. Si sentiva forte e pronto a
qualunque scontro. La reazione del club, invece, fu per lui inaspettata. I
ricchi, i nobili, i potenti si riassettarono; gli uomini si abbottonavano
indifferenti i pantaloni e le donne si sistemavano le giarrettiere. Leuse, per
prima parlò, rivolta sia agli altri che a Gualtiero. – Ho udito le parole
dell’oracolo, prima del sacrificio.- disse – Era un segno. Il Turnàd ha avuto
l’acume d’interpretarlo. Il demone lo ha approvato.
-Zock?- domandò qualcuno. Leuse fu rapida ed
efficiente: - Il dottor Orte, gentilmente, ricucirà la sua gola tagliata. I
nostri fidi collaboratori si preoccuperanno di ricomporre la sua salma nel
letto sereno della sua abitazione. Orte diagnosticherà un tragico infarto
notturno e tale versione sarà convalidata dalla pronta indagine ordinata dal
giudice Watel. Mi preoccuperò personalmente di farvi pervenire gli inviti al
suo funerale. Credo che per stasera, sia tutto, signori.- disorientato, Gualtiero,
osservò i presenti defluire verso i piani alti del club. Attorno a lui, i
servitori incappucciati, riordinavano la sala. Vicino a lui, Leuse osservava il
corpo di Zock, riverso in una larga pozza rossa. – Vi ho tolto l’evocatore.-
disse lui. La donna scosse le spalle ben tornite e con indifferenza rispose: -
Non era la sola personalità della chiesa a essere affiliata. Stanotte
avvertiremo monsignor Hobelio. I membri del clero, affiliati all’Omnialudo, non
si conoscono tra loro. Una misura cautelare decisa in comune.
-Sembra che tutto s’incastri perfettamente.-
commentò con malcelata soddisfazione, Gualtiero. Leuse sorrise, gli prese il
braccio e lo accompagnò al mondo di sempre.
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