domenica 11 settembre 2011

Capitolo secondo

La cadenza implacabile del tempo, si scandiva nel silenzio di uno dei saloni della reggia Turnàd.
Gualtiero aveva cenato con la moglie incinta mostrandosi premuroso e di compagnia, dopo, prima di congedarsi dalla tavola, lasciò cadere con leggerezza e noncuranza un accenno alla sua volontà di recarsi al circolo degli industriali, per giocare un po’ a scacchi e tirare fino a tardi. Naturalmente, lei non oppose la minima obiezione. Ora, solo nello studio, ascoltava il rintocco della massiccia pendola intarsiata e attendeva che l’auto inviatagli da Zock giungesse puntuale. Allo scoccare dell’undicesima ora postmeridiana, i fari di un mezzo falciarono il buio dei boschi circostanti. Gualtiero si alzò pesantemente dalla sedia e scese di sotto, nel marmoreo androne, mentre una cameriera dalla cuffia immacolata, lo aiutava ad indossare la sua palandrana e gli porgeva tuba e bastone. Un maggiordomo aprì il portone leggermente cigolante; sull’uscio, attendeva un autista vestito di pelle nera nella giacca, nei pantaloni e negli stivali. Era magro e pallido, il volto scavato e gli occhi illeggibili sotto la visiera del cappello, anch’esso di pelle nera. Quando se lo tolse, in segno di saluto e rispetto, scoprì un cranio perfettamente lucido, sembrava che gli unici peli del suo volto, fossero le ciglia e due baffi neri. Disse: - Gualtiero Turnàd-Zock?
Per un momento, Gualtiero, rimase indispettito dalla naturalezza con la quale l’autista aveva pronunciato il suo nome, senza altri appellativi ad introdurlo, poi, il pensiero di quel che lo attendeva, lasciò calare nell’oblio quella ridicola leggerezza. Rispose di sì. L’autista sorrise enigmatico e gli indicò la portiera spalancata della berlina mormorante.- Prego, signore.
Gualtiero prese posto sul soffice divano posteriore. Un vetro nero e impenetrabile, separava l’abitacolo dal posto guida. Tra il cuoio, la radica ed i velluti, spiccavano un umidificatore per sigari e dei vani ghiacciati per lo spumante. Prelevò un sigaro dal colore scuro e un’aroma spiccatamente fragrante, lo annusò ripetutamente mentre si lasciava sprofondare, languido, contro lo schienale opulento. Il tabacco aveva un odore piacevolmente dolciastro, assieme alle foglie arrotolate, una mano esperta doveva aver mescolato qualche sostanza esotica e raffinata. La voce dell’autista, filtrata da una grata decorata, gli indicò il vano dell’accendino. Il passeggero, volontariamente in balìa degli eventi, non volle preoccuparsi di come il conducente potesse esser a conoscenza del fatto che voleva fumare, nonostante il vetro impenetrabile che li divideva; semplicemente, prese l’oggettino in avorio lavorato e si accese il sigaro. Tirò alcune boccate lente, assaporando il fumo e cercando di coglierne le essenze. Sospettava canapa d’oriente o qualche varietà d’oppio sersiano. Con la testa leggermente alleggerita, il capo reclinato contro il poggiatesta rivestito di marocchino rosso, Gualtiero vide la che macchina si avvicinava a Gorreal. Riconosceva la Tur d’Or, il palazzo reale, un maniero imponente, costruito su di un altopiano che dominava il resto della città. Lampioni dalla luce ambrata, rendevano fede al suo nome. Si sviluppava essenzialmente in altezza, come a voler sottolineare una propensione spirituale costante all’elevazione del regno, bastioni turriti e contrafforti merlettati, ornavano la struttura centrale come i ricami di un abito, molteplici bandiere sembravano garrire perennemente, dall’alto dei pennoni issati sui tetti conici e aguzzi. Il resto della città si estendeva come un tappeto sontuoso, intrecciato di viali eleganti, palazzi imperiosi, cattedrali austere. In breve, il panorama si diradò, man mano che la vettura si addentrava nell’urbe; Gualtiero vide sfilare davanti a se’ le ampie piazze, dominate da giochi d’acqua o possenti statue di guerrieri e monarchi, santi e martiri, filosofi e sapienti. Oltrepassarono il centro mondano, lasciandosi alle spalle il frontale eburneo del palazzo di giustizia, circumnavigarono il verde fitto del parco Madama Valeria, uno dei principali polmoni verdi della capitale e oltre il lago Ibis, una distesa irregolare di vetro notturno sulla cui superficie le luci ripetevano un firmamento in miniatura, le mura grigie della città vecchia sembravano richiudersi sull’automobile, come le colonne incombenti e ricurve della gabbia toracica di un mostro dentro un incubo estraniante.
   Ora, lo sfavillare delle glorie della capitale, era meno oscurato dalle viuzze labirintiche e dai vicoli bui, in quei bassifondi, dalle strade composte d’umidi e viscidi cubetti di porfido, levigati dai secoli e dalla sporcizia. La gloria del regno, lì era cantata da ubriachi e disperati, storpi e pezzenti che rivolgevano al lontano lucore della Tur d’Or, le loro blasfeme benedizioni, al sapore di malattie e supplizi, esalate da bocche piene di denti cariati e aliti fetidi di vino scadente. La vettura sfilò di fronte ad un vecchio monastero decrepito, appena una sagoma di pietra, con fessure al posto delle finestre e portoni con borchie rugginose, a ridosso del quale, era stata eretta una casaforte dalle mura massicce, le finestre sprangate, un canale d’acqua color dell’inchiostro che scorreva attraverso le palafitte ricoperte di molluschi insignificanti. Parte della casaforte si proiettava direttamente su quel canale virulento, indifferente alle esalazioni marcescenti delle carogne di topi di fogna trasportati dalla corrente implacabile. L’automobile arrestò il suo percorso davanti a questa struttura ammantata dall’oscurità dei vicoli che la attorniavano. Gualtiero udì la portiera del conducente aprirsi, i passi netti del suo novello Caronte avvicinarsi, la portiera del passeggero spalancarsi, lasciando entrare umidità e un odore vago ma percettibile, che ricordava un misto di funghi marci e rame ossidato. L’autista si fece da parte, il cappello in mano, gli rivolse uno sguardo malizioso d’invito e gli indicò una porticina claustrofobica, incassata nelle mura scabre, alla quale si accedeva dopo essere disceso alcuni gradini sprofondati nel selciato della strada, l’unica illuminazione era assicurata da una lanterna a gas dalla fiammella tremula e moribonda; attorno ad essa, alcune grasse falene vorticavano come forsennate, in preda ad una danza sabbatica. – Prego, signore.- disse l’autista. Gualtiero scese, lo sguardo rapito dagli insetti schiavi della luce effimera. Il suo accompagnatore gl'indicò la strada, scendendo gli scalini con lenta prudenza. Alla porticina, estrasse un biglietto cartonato, battè un solo colpo contro lo sportello dello spioncino e infilò il lasciapassare in un fessura sottostante. Subito dopo, l’uscio fu aperto, inondando la nicchia di una luce rossastra. Gualtiero colse anche della musica vaga, una folata di calore, un odore piuttosto marcato d’incenso.
-Omnialudo.- gli sussurrò all’orecchio l’autista congedandosi. Gualtiero mosse un passo verso l’uscio aperto. Davanti a lui, si era materializzata una seconda figura, grande e imponente; era una specie di gigante dalla pelle gialla, gli occhi ridotti a due fessure nere, il cranio pelato, le braccia nude, come due clave incrociate sul petto. Indossava calzoni di cuoio con borchie luccicanti, alti stivali dalla punta ricurva e un cinturone, dal quale pendeva un lungo coltello dalla lama a spirale, alle spalle di quell’impassibile guardiano, lo attendeva il Cardinale Zock. Indossava una semplice tunica porporina, pantofole broccate e uno zuccotto di velluto viola. Nessun paramento sacro.– Prego, amico mio. Non lasciarti intimidire da Balan, lui squarta solamente a comando.- Il colossale guardiano si spostò silenziosamente, il nuovo arrivato varcò la soglia mentre la porta era nuovamente sprangata. Zock lo prese sottobraccio. Una ragazza venne loro incontro. Era mascherata da una striscia di pelle e indossava un corpino stretto da una complessa serie di lacci intrecciati, velate calze nere erano sorrette da giarrettiere borchiate e un collare di spine ornava il lungo collo esile. Si fece dare cappello, bastone e palandrana, come un’impeccabile cameriera di buona famiglia e scomparve dietro un guardaroba ornato da tende rosse. Gualtiero la seguì con lo sguardo, affascinato dall’ondeggiare delle anche della ragazza, Zock sogghignò e disse: - Adesso non è il momento. Non sei ancora affiliato.  Successivamente, potrai possedere quella ragazza in ogni modo tu preferirai.- una pausa – Quella ragazza come altre, o altri. Qualunque cosa la tua fantasia sia in grado di concepire.
-Sembra la descrizione di un paradiso terreno.
-Il nome di questo nostro piccolo circolo esclusivo, non è per nulla casuale.- gli spiegò Zock.
Abbandonarono l’anticamera per infilarsi in un lungo corridoio illuminato da candele rosse, la musica, una qualche sonata per clavicembalo, era più forte ma sovrastata da un chiacchierio fitto, inframmezzato da risate, gridolini e rumori argentini di calici battuti tra loro in brindisi continui. Zock scostò un pesante tendaggio di velluto nero, dietro al quale si apriva un salone riccamente arredato, popolato da una fauna di frequentatori eterogenei.- Prima voglio spiegarti a grandi linee la filosofia del nostro club.- entrarono nel salone. Il centro era dominato da un grosso bancone anulare, attorno al quale, due baristi si affaccendavano a servire la clientela. Su quella che sembrava una pista da ballo, due donne, vestite di sete sgargianti, si baciavano appassionatamente, mentre le loro mani si frugavano reciprocamente tra le vesti; attorno alle due saffiche compagne, gruppi d’uomini e donne, languidamente distesi su divanetti trapuntati, contemplavano quella passione ostentata. Gualtiero, rimase un istante rapito dallo spettacolo mentre Zock si procurava due calici di vino bianco.- Questo è soltanto uno stuzzichino.- gli disse –Giusto per entrare con dolcezza nello spirito del posto.- Improvvisamente, una donna molto grassa e molto ingioiellata, emerse dal pubblico, spogliandosi, salì sul palchetto e iniziò ad unirsi all'idillio delle due amanti. Qualcuno applaudì.
Con gentilezza, Zock distolse il suo nuovo pupillo dalla sua contemplazione e lo deviò verso un’uscita.- Come ti stavo dicendo, Gualtiero, questa sala è soltanto una leggera introduzione a tutto quel che può offrire Omnialudo. Innanzitutto, è importante sottolineare che il nostro club è segreto ed esclusivo. Esiste da relativamente poco, giusto qualche decennio e non è reperibile nessun’informazione su Chi sia stato il suo ideatore. Omnialudo è stato fondato sull’onda delle esigenze dei potenti. La detenzione del potere comporta uno stato di tensione continua. Non stiamo parlando di persone normali, ma di dominatori, eletti, capi, pastori. Mi segui? Ricordi il discorso che abbiamo fatto nel tuo studio?- Gualtiero annuì, rapito.- Un potente non ha una vita normale, bensì eccezionale e di conseguenza, anche le sue esigenze, esulano dall’ordinarietà. Omnialudo si è prefissato questo compito. Ovviamente, tutti noi abbiamo segreti. Qua da noi, il segreto diventa desiderio espresso, nel pieno rispetto della sua natura. Sesso, perversioni, deviazioni, giochi proibiti, tutto è possibile tra queste pareti. Cose al di sopra d’ogni possibile immaginazione, accadono tutte le notti nelle nostre alcove, nelle nostre segrete, ovunque.
Ora proseguivano un lento cammino attraverso un altro corridoio, su entrambi i lati, numerose porte di mogano intarsiato celavano la realizzazione delle parole del cardinale. Uno degli usci si spalancò di colpo e un uomo magro, nudo, completamente imbrattato di sangue e di feci, si lasciò cadere sul soffice tappeto monocolore. Ansimava profondamente e i suoi occhi chiari, erano dilatati su una dimensione lontana dalla realtà tanto quanto un astro remoto. Gualtiero indietreggiò, disgustato da quella vista ma Zock, indifferente, si chinò sulla figura messa a quattro zampe, una tenue smorfia sul suo volto, tradiva il diffondersi dell’odore di fluidi organici, che filtrava dalla camera abbandonata dal cliente stravolto.- Cosa..- mormorò Gualtiero, confuso e sorpreso da quel traumatico intervallo. Zock si alzò e sbirciò nella camera, sporse le labbra in fuori, come preda di un cruccio fastidioso. A fianco dell’uscio, pendeva un cordone dorato con un pomello frangiato che il Cardinale tirò. Poco dopo, due robusti servitori in livrea di cuoio e cappucci neri, arrivarono, silenziosi, Zock indicò loro l’interno della camera e questi, prontamente, entrarono, uscendo successivamente, reggendo un grosso fagotto zuppo di sangue, tanto che qualche goccia vermiglia, gocciolava ripetutamente dal fondo. Arrivò anche l’autista, il quale porse l’orecchio al suo signore.
Il cliente, improvvisamente, parve rinsavire. Si sedette su una poltroncina vicina mentre i suoi occhi riacquistavano lucidità e barlumi d’intelligenza, con indifferenza, si passava le mani viscide sul petto impiastricciato. Zock gli si avvicinò di nuovo e con voce suadente e pacata gli parlò: - Baronetto Zavi? Mi sente? Va tutto bene. Si trova all’Omnialudo. Stia tranquillo.- l’uomo nudo tirò su col naso, fissò Zock con occhi disperati e lentamente, calando nuovamente nel mondo che lo circondava, i tratti del suo volto parvero ringiovanire, rivelando quel che si celava dietro la maschera allucinata che prima ostentava: un giovane uomo dai tratti delicati e i capelli lisci che si era appena svegliato da un’apocalisse interiore. Parlò, rivelando una voce calma, dal tono acculturato: - Devo lavarmi. Ho bisogno di una doccia, acqua calda, sapone profumato, oli vegetali e borotalco, qualche ancella che mi aiuti..
-Naturalmente, baronetto Zavi. Sa bene che l’Omnialudo pensa a tutto.- alcune ragazze vestite di bianco arrivarono, reggendo asciugamani e accappatoi, le loro vesti avevano ampie scollature che scoprivano i seni fino ai capezzoli, lasciandoli spuntare dai bordi di pizzo. Il baronetto abbandonò il luogo del suo personale oblio, lasciando una leggera scia di sangue sporco.
-Come ti stavo appunto spiegando.- riprese il cardinale- Da noi è fattibile qualunque cosa si voglia fare. Nel senso più completo e assoluto del termine. Affascinante vero?
-Terribilmente.- Gualtiero avvertiva un senso di saturazione, lenta e costante, come se ad ogni angolo, un nuovo portento occupasse i suoi pensieri. Era anche inorridito, ma quella reazione era costantemente diluita da una fascinazione fortissima, che lo spingeva a desiderare di vedere di più e ancora. Zock, con fare da cicerone, proseguiva nelle sue delucidazioni: - Il concetto di proibito, all’Omnialudo è sostanzialmente sconosciuto. Le uniche proibizioni sono essenzialmente le indiscrezioni sul club stesso. E con questo, entriamo nell’ambito del regolamento. Ogni club ha il suo regolamento, il nostro non fa eccezione.
-Certamente- convenne Gualtiero. Nel frattempo, avevano abbandonato l’ennesimo corridoio e si erano infilati in una sontuosa sala da pranzo. Camerieri in frac e guanti bianchi si avvicendavano attorno ad una lunga tavola, imbandita come ad una cena di gala. Gualtiero osservava i vini di pregio che erano mesciuti con generosa abbondanza, le posate d’argento scintillante, i commensali, alcuni di loro grassi all’inverosimile, che consumavano una personale orgia gastronomica, satollandosi come otri capienti. Due dei servitori, fecero ingresso sorreggendo un voluminoso piatto da portata, protetto da un coperchio a cupola, lo posarono al centro della tavola e lo scoprirono con un gesto plateale. Gualtiero si raggelò, fermo, come se le suole delle sue scarpe fossero state fulmineamente inchiodate al parquet disseminato di briciole. Il piatto forte di quel pantagruelico ed osceno banchetto, era rappresentato da due grassi neonati, cotti a puntino, con la pelle dorata e lucida d’olio e spezie, giusto un po’ crepata lungo le soffici natiche; gli occhi erano serrati e le piccole bocche ancora sdentate, spalancate in urla senza suoni. Dormivano il loro sonno eterno sopra un letto in foglie di lattuga, contornati da patate lesse cosparse d’origano e rosmarino. Lo chef, aveva aggiunto una nota di colore, ornando il piatto con ravanelli tagliati a guisa di piccoli fiori appena sbocciati, quasi un ironico e tragico parallelismo tra quelle decorazioni e le due vite non ancora incominciate, stroncate da un appetito che era più grande e prepotente del mondo che diversamente li avrebbe attesi.
Gualtiero sentì il braccio di Zock infilarsi sotto il proprio. Il cardinale gli disse: - Come stai vedendo, non c’è capriccio inesaudibile. Vedi il corpulento signore a capotavola? Non ti appare un volto noto? Certo, quando viene all’Omnialudo, si lascia un po’ andare, sai, l’etichetta di corte è un po’ rigida.
-Il duca di Naterra, il consigliere del Re per l’istruzione.- rispose lentamente, Gualtiero. Zock sorrise sornione. -Esattamente. Gli sono sempre piaciuti i bambini.
   Il Cardinale accompagnò Gualtiero lontano dagli ospiti della cena e lo pilotò attraverso un dedalo di saloni ed alcove, scendendo gradatamente sotto il livello del suolo. Improvvisamente, Gualtiero si rese conto che la musica del clavicembalo non era più udibile e che alla sontuosa tappezzeria decorata, si erano sostituite mura umide e ammuffite, stillanti condensa, come la patina di sudore sulla pelle di un uomo terrorizzato o moribondo. Si trovavano all’interno di un locale circolare, al cui centro, spiccava una pesante botola di ghisa, alla quale era collegata una spessa catena che si perdeva nel buio sovrastante. Un corpulento guardiano dai calzoni di cuoio e una grossa pistola nella fondina, sorvegliava silenzioso e indifferente. Zock gli rivolse soltanto un cenno del capo.- Ci aspettano, Gualtiero.- gli disse. L’uomo armato azionò una leva che sporgeva dalla parete e con un cigolio sinistro, la catena si mosse, sollevando lentamente la botola. Si scoprì un budello maleodorante, illuminato da fiaccole tremolanti; scalini smussati. Calavano giù, in una spirale di pietra spettrale. Zock si calò per primo, ostentando una noncuranza e una solenne serenità che erano le medesime che lo caratterizzavano sull’altare.
   La cognizione dello spazio e del tempo, per Gualtiero, erano ormai astrazioni remote, la cui determinazione risultava ardua e difficoltosa. Non aveva più idea dell’ora che fosse e men che meno, in che punto della casaforte si trovasse in quel momento. L’aria odorava di muffa, di legna marcia e, forse, anche un po’ di zolfo, ma non sapeva se quella fosse una suggestione o una percezione effettiva e lucida. Alla fine della ripida e insicura scala a chiocciola, c’era una specie di tetra anticamera, sempre di forma circolare, illuminata anch’essa da fiaccole dalla luce rovente. Un uomo, o la sua parodia, giaceva inginocchiato sul pavimento di pietra levigata, i polsi ammanettati a delle catene imbullonate nel muro alle sue spalle. Presentava un fisico denutrito e scheletrico, ferite sanguinolente, alcune incancrenite; era nudo e Gualtiero, anche se non consciamente, ne sbirciò i genitali, punteggiati di bruciature da sigarette. I capelli lunghi e unti, gli coprivano il viso. Una donna bellissima, inguainata in un abito da sera con spacco e strascico, lo osservava con occhi turchesi, un sottile tacco a spillo che batteva aritmicamente sul suolo. Era perfettamente acconciata e la sua crocchia corvina, era fermata da una coroncina di brillanti. Zock le andò in contro, baciandole le guance d’alabastro: - Leuse. Carissima. Come stai?- la donna non rispose subito, scrutò, bensì, Gualtiero.- Chi è?- domandò, il tono era severo e venato marcatamente da un sospetto velenoso. Zock accompagnò la sua risposta con un ampio svolazzo della sua mano inanellata.- Non lo riconosci?
-Il suo volto non mi è nuovo.
-Basterà il suo cognome. Turnàd. - Leuse reclinò il capo, socchiudendo le labbra porporine e portandosi una mano dalle unghie laccate al petto. Emise un monosillabo che, Gualtiero suppose, fosse, da parte sua, una dimostrazione di rispetto oppure d’ammirazione; decise così di presentarsi, accennando un inchino: - Gualtiero Zock-Turnàd, signora. Al vostro servizio.
-Leuse Delfinus-Ovest. Marchesa di Nebius.- I Delfinus-Ovest appartenevano all’alta aristocrazia, legati saldamente ad un ramo cadetto della famiglia reale. Gualtiero aveva già intrattenuto rapporti con i parenti della marchesa. Figure importanti, a dialogo diretto con il Re e con il suo consiglio.
-Il nostro Gualtiero ha dimostrato doti rimarchevoli, oltre ad un’encomiabile volontà per entrare nel nostro piccolo club.- Leuse si portò un lungo indice alla tempia mentre squadrava il nuovo arrivato.- Un Turnàd..- mormorò, sembrava che facesse rigirare la parola nella bocca, come una caramella, per valutarne il sapore.- Acciaierie, industrie pesanti, locomotive, banche...- mentalmente riassumeva e giudicava gli strumenti del potere in mano al clan di Gualtiero.- Sarebbe il primo, vero?- domandò ancora, rivolgendosi al Cardinale. – Esattamente.- rispose quest’ultimo.- Una giunta preziosa, a mio parere.
-Vedremo.- si limitò a commentare la marchesa.- Finisco di giocare e vi raggiungo, signori.- aggiunse mentre, da un tavolo d’acciaio, sceglieva uno strumento lucido e acuminato, provvisto di un lungo manico di gomma.
   I due uomini entrarono nella camera successiva. Come un cuore tumescente e maligno, la cripta occupava le viscere sotterranee della casaforte Omnialudo, e come ogni cripta, tombe, incunaboli, croci e un altare di pietra, ne componevano l’arredamento. Le fiaccole erano state sostituite da un massiccio e incombente lampadario di ferro battuto, illuminato da circoli concentrici di candele nere. Tutto attorno al perimetro, riprendendo la circolarità degli elementi presenti, scranni di legno grezzo contornavano la stanza, quasi tutti occupati, ora. Diverse nicchie, erano chiuse con pesanti grate rugginose, alcune, erano occupate da figure lacere, di cenci vestite. Gualtiero notò come il pavimento, stavolta fosse di piastrelle d’ottima fattura e il loro motivo, si combinava in un ampio pentacolo, il cui epicentro, era rappresentato dall’altare. Zock accompagnò Gualtiero fin di fronte ad un cuscino, morbidamente appoggiato sul pavimento e lo invitò, con una pressione sulle spalle, ad inginocchiarsi su esso. Il Cardinale gli girò attorno e si mise all’altare, sul quale lo attendevano un trincetto chirurgico e alcuni tamponi di garza. In una gabbia vicina, una capra spaurita belava la sua inquietudine nell’aria densa di fumi drogati. Gualtiero inspirò, ansioso; la testa gli sembrava piena d’ovatta. Si guardò attorno, scrutando i membri del club che man mano si univano alla sua iniziazione. Riconobbe altri nobili altolocati, finanzieri, giudici, un generale e un commodoro della regia marina. Vide anche dei parenti, che i suoi informatori non erano riusciti a scovare, soprattutto della famiglia Henke. Questi ultimi, gli rivolsero cenni del capo e sorrisi calorosi, come ad una sulfurea cresima. Per ultima, si unì la marchesa di Nebius, sempre splendida ed elegante; uno sbaffo rosso le ornava la tempia destra. Gualtiero indugiò su di lei affascinato.
   Le porte furono sprangate con un tonfo lugubre, un silenzio tangibile attraversava l’aria immota, rendendo l’ambiente ancora più soffocante. Zock si volse in direzione di un grosso crocifisso, schioccò le dita tozze e due servitori incappucciati, comparvero dall’ombra, per capovolgere il sacro emblema.- Cari soci.- esordì Zock – Come preannunciato, ecco un nuovo adepto. Anche se non più necessario, mi pare doveroso presentarlo: Gualtiero Zock-Turnàd, capitano d’industria ed emerito del regno.- seguì un applauso assolutamente di maniera. – Come vuole la tradizione, esporrò al neofita le nostre brevi regole di convivenza e dopo passeremo all’iniziazione. Gualtiero Zock-Turnàd, sei disposto a mantenere il più stretto segreto riguardo il nostro circolo? Dì lo giuro.
-Lo giuro.
-Sei disposto a mantenere tale segreto anche a costo della morte?
-Lo giuro.
-Sei disposto ad uccidere o far uccidere per difendere questo segreto?
-Sì, lo giuro.
-Sei disposto ad aiutare in ogni modo possibile e fattibile, ogni altro membro del club?
-Lo giuro.
-Sappi che ogni mancata osservanza, sarà punita nella misura del danno che si provoca. Porgi la mano destra.
Gualtiero allungò il braccio, fino a posarlo sul velluto della tovaglia che ricopriva l’altare, la mano tremava leggermente. Zock gli rivolse un sorriso d’incoraggiamento. – Non temere.- gli sussurrò –E’ soltanto un attimo.- Prese il trincetto con la destra, mentre con la sinistra, con delicatezza, sceglieva l’anulare; selezionò con dita esperte la prima falange e la guidò tra le lame insidiose. Gualtiero si ritrovò a sudare copiosamente, con gocce salate come lagrime che gli scivolavano sul volto ardente, avvertì il tocco insinuante dell’acciaio chirurgico sull’epidermide ipersensibilizzata.
Zock serrò la stretta con una mossa fulminea, le lame si richiusero con un sottile sfregare l’una contro l’altra, Gualtiero sentì una fitta lancinante, che gli proiettò scintille bluastre nel buio dinamico delle sue palpebre chiuse. Aspirò aria convulsamente, senza riuscire a emettere suoni. Una ragazza, anche lei in bustino di pelle con laccetti intricati, gli stava fasciando il moncherino. La parte amputata, invece, era stata recuperata e posata su un piattino di ceramica. La ragazza, con mani esperte strinse la fasciatura e gli infilò in bocca un dito, intriso di un qualcosa di freddo e amaro. Gualtiero succhiò il dito, come se il sapore rivoltante della sostanza che lo ricopriva, lo distraesse dal dolore pulsante e crescente che avvertiva in lui. La sua perversa infermiera gli sussurrò all’orecchio parole rassicuranti. Zock lo invitò ad alzarsi, attorno, gli astanti applaudivano, ma con un diverso e più sincero entusiasmo. – La prima fase è ultimata. Benvenuto all’Omnialudo.- lo abbracciò con forza. Gualtiero si sentiva la bocca intorpidita e insensibile, il dolore al moncherino, era soltanto più un battito costante ma insignificante.
Bottiglie di spumante furono stappate, schiuma e turaccioli volanti, rallegrarono l’interno oppressivo della cripta come ad una festa di compleanno. Leuse porse a Gualtiero una coppa di cristallo, le sue lunghe ciglia, si muovevano come le pinne suadenti di un pesce tropicale. Riceveva a turno, pacche sulle spalle, congratulazioni e baci a fior di labbra sulle guance fredde. Si sentiva avvolto da un alone di vuoto isolante, tutto ciò che lo attorniava, sembrava deformato da una lente psichedelica. Dopo, con la stessa improvvisa subitaneità dell’inizio, la piccola festa finì. I presenti si raccolsero attorno all’adepto e gli indicarono l’altare. Senza che se ne fosse reso conto, dietro la struttura in pietra, si era aperto un secondo e più recondito budello, dal quale Zock, faceva capolino.
Reggeva una fiaccola e gli faceva cenno di seguirlo, lo sguardo era austero, il mento alto. – Sempre più giù.- gli disse – La discesa, è un cammino indispensabile all’Omnialudo.- Gualtiero lo seguì, aveva la sensazione di camminare sul ponte rollante di una nave in balìa dei marosi, mani estranee, da dietro, lo sorreggevano; una, più lasciva, si era insinuata tra le gambe. Lui non la scacciò.
   Scesero gradini infiniti. Gualtiero pensava di trovare, da un momento all’altro, fiumi di lava infernale. Alla fine si ritrovò in un ambiente più vasto, disseminato di celle buie. Un secondo e più ampio pentacolo, era disegnato con cura maniacale sulla pietra levigata. Da qualche parte, udiva lamenti inintelligibili, sarebbero potuto appartenere a uomini decaduti come ad animali segnati.
-Questa è la sala delle evocazioni.- annunciò Zock, la voce solenne delle grandi occasioni.- Qua, intrappoleremo il tuo demone personale, lo legheremo alla tua persona e avrà inizio il culmine di ogni sfruttamento. Sei pronto?- Gualtiero, udendo le parole del Cardinale, sentì un guizzo vivace palpitargli nel petto e un nuovo, bramoso entusiasmo, attraversarlo come una sottile e stimolante scossa elettrica. – Sì – rispose con la voce ancora impastata. Deglutì e chiese: - Cosa devo fare?
-Uccidere.- rispose il suo officiante. – Devi sacrificare una vita per ben predisporre il nostro malefico schiavo.
-Chi?- Zock alzò le spalle con noncuranza: - Oh, abbiamo un piccolo serraglio di creature perfettamente inutili.- indicò una cella sprangata da grate acuminate- L’ideale erano dei neonati, ma quelli stasera li abbiamo finiti. Una verginella? Penso che loro, la sotto, lo apprezzino altrettanto.
Gualtiero annuì senza parole. Qualcuno aprì la cella e ne uscì stringendo per i polsi una ragazzina di circa dodici anni, magrissima, sporca, totalmente annichilita dal terrore, dalla maschera dei capelli biondi e scarmigliati, fulgevano due occhi enormi, sgranati. La ragazzina emetteva soltanto più degli squittii, come se tutto il fiato che aveva per piangere e urlare, si fosse estinto per l’usura; era vestita di stracci e dal corpicino rachitico, s’intuiva comunque l’idea di due seni piccoli e nervosi. Cercava di rannicchiarsi, come se dovesse implodere in un più rassicurante oblio personale, nonostante il braccio nudo e nerboruto che le stringeva il polso. – Che ne dici? Lo giudichi un obolo sufficiente?
-Mi affido alla tua esperienza.- rispose Gualtiero. Zock, interpretò la risposta come un invito a procedere con la cerimonia. I servitori incappucciati, capovolsero tutte le croci presenti e sgozzarono senza altri indugi una capra. Il sangue della bestia morta, fu cosparso a formare disegni intraducibili, al centro del pentacolo. Il cardinale, al centro della figura, iniziò a formulare frasi in una lingua morta, che Gualtiero non aveva mai udito prima; L’evocatore, pronunciava parole astruse, apparentemente con pochissime vocali e il tono della sua voce, sembrava mutato, più basso eppure più incisivo e sonoro. Accompagnava le formule con serie di sputi. Dopo, a un suo gesto, delle ancelle nude entrarono del circolo magico e sparsero altre sostanze organiche sul pentacolo: altro sangue, saliva, sperma, secrezioni vaginali, feci. L’evocatore riprese la sua litania, attorno a lui, gli altri presenti, mormoravano a bocca chiusa e i servitori battevano su tamburi di pelle umana, una raccapricciante cadenza. Un'ancella portò la testa della capra su un vassoio d’argento. Zock la prese, la scrutò negli occhi e la levò al cielo. Gualtiero, andando oltre le nauseabonde simbologie, avvertì una diversa tensione nell’aria, sentiva i capelli rizzarsi gradatamente, la pelle del dorso delle mani e del collo, accapponarsi in preda a un gelo che non sembrava essere avvertibile diversamente. Gli odori erano più spessi e intraducibili: zolfo, muffa, sangue, incenso, droghe varie. Forse, era quella la fragranza del male. Una parte del suo essere, percepiva l’anormalità dell’evento, la sua valvola di sintonia con la natura, avvertiva la sovversione delle leggi che normalmente la regolavano. Un palese senso di incombenza gli gonfiava il petto d’ansia. Gualtiero era terrorizzato e affascinato in egual misura. Qualcuno, parlando nuovamente una lingua umana, disse: - Portate l’oracolo. Subito.- l’ordine fu eseguito prontamente. Si udì un cigolio stridente. Erano le ruote di una gabbia mobile, dentro alla quale, era custodita una creatura.
Gualtiero osò avvicinarsi, per distinguerla meglio fra le danze frenetiche delle ombre guizzanti che popolavano la sala. L’Oracolo scattò come un rettile, andando a sbattere contro le sbarre di ferro massiccio e protendendo le braccia all’esterno come a voler afferrare il Turnàd. Era un cadavere. Un essere che in condizioni normali, non poteva vivere, muoversi o parlare. Emanava un puzzo di carogna nauseabondo. Lembi di carne putrefatta, pendevano dalle membra, come gli stracci di un mendicante. Le dita erano scheletrite, color della ruggine dove la pelle morta ancora resisteva sulle ossa ingiallite. Gualtiero osò mettere a fuoco il volto della cosa che aveva di fronte e distinse un solo occhio glaucomatoso, a tener compagnia all’altra orbita, invece nera e vuota come una cava, il naso era scomparso per lasciar posto alla nuda cartilagine e i denti erano il sorriso stesso della morte, snudati dal tempo e dai parassiti; una coroncina di capelli neri e sfilacciati, ornava il capo e le spalle del mostro. Il Turnàd fissò come ipnotizzato l’occhio bianchiccio dell’oracolo e quest’ultimo ammiccò, sussurrandogli parole marcite: - Tu. Tu puoi. Puoi molto. Osa l’inosabile. Regole infrante creano nuove regole.- I servitori trascinarono via la gabbia, avvicinandola al pentacolo. Gualtiero si sentì preda di una vertigine inedita, la sua mente lottava per scacciare l’orrore della vista e ragionare le parole che aveva ricevuto.
    La cerimonia raggiunse il culmine. Dal centro del pentacolo, si levò una colonna di fuoco. Un’orgiastica adorazione collettiva, si propagò come un morbo tra i presenti. Uomini e donne si lasciarono andare a terra, amandosi forsennatamente, senza spogliarsi, cercando gli orifizi tra gli abiti eleganti, bocche contro bocche, bocche contro genitali, genitali contro genitali. Un unico, lussurioso ansimo, coprì gli altri suoni. Gualtiero si guardava fulmineo attorno, fino ad individuare la Marchesa di Nebius. Non resistette. Strappò via la donna che la stava amando e scivolò su di lei, sollevandole il vestito. Lo sguardo di Leuse era appannato dalla lussuria, la bocca socchiusa, la lingua che guizzava nell’aria, quando Gualtiero la penetrò. L’amplesso fu veloce, concitato, quasi indifferente alla consueta sinfonia tattile che lo contornava. Con l’orgasmo, Gualtiero s’inarcò verso l’alto, mentre con la coda dell’occhio, scrutava Zock, impegnato nell’evocazione. Vide che uno degli individui incappucciati, stava portando la ragazzina dal Cardinale. Seppe che era giunto il momento.
Si alzò da Leuse, subito rimpiazzato da una socia del club. Avanzò, sudato e tremante verso il pentacolo. Il cardinale tratteneva la vittima sacrificale ai suoi piedi, in mano un lungo pugnale dall’impugnatura ingioiellata. La colonna di fuoco che era scaturita, ad opera del rito, danzava con guizzi innaturalmente controllati.- Vieni, Gualtiero. Vieni.- si avvicinò con passo malfermo, la mente ossessivamente concentrata sulle parole dell’oracolo: regole infrante creano nuove regole.
Si domandò un momento, quale regola non si sarebbe osato violare in quel frangente. Zock gli porse il pugnale.- Sii forte, figliolo.- gli disse. Gualtiero fissò l’arma che stringeva nel palmo scivoloso, spostò la sua attenzione disincarnata dalla lama a specchio agli occhi sgranati e traumatizzati della vergine, infine, concentrò la sua attenzione sul cardinale, illuminato dalle fiamme. Il sacrificio. L’obolo preferito. Il potere. Sollevò la lama. La luce delle fiamme innaturali, proiettò degli scintillii cristallini negli occhi dell’evocatore, in piena estasi terrena, mentre attorno a lui, l’orgia, aggiungeva energia latente al rituale.- ORA.- gridò Zock – O MAI PIU’.-
Gualtiero Turnàd, segnò per sempre il suo destino. Calò la lama con un ampio movimento ad arco, superò la ragazza e incontrò, inarrestabile, la gola esposta del cardinale. Ci fu solamente il suono dell’aria tagliata dalla lama e lo schizzo ampio di un copioso fiotto di sangue, fuoriuscito dalla trachea squarciata di Zock. La sala, l’orgia, il tempo, lo spazio e l’universo intero, si paralizzarono su quella vivace fontana di sangue, che ridusse la colonna di fuoco ad una fiammella rosso vivo, che ardeva vivacemente, come un serpentello contorto, ai piedi dell’officiante appena sgozzato. Il cardinale cadde prima in ginocchio, gli occhi stupiti, vitrei. Non emetteva suoni, a parte un gorgoglio che accompagnava il defluire della sua vita sul pentacolo. Come preda di un’esitazione, cercò un’ultima volta lo sguardo del suo assassino e crollò, rigido come un tronco appena abbattuto.
  La sala delle evocazioni era stretta in una paralisi traumatica. Tutti i presenti avevano interrotto i loro accoppiamenti e fissavano, increduli, Gualtiero. Stringeva ancora la lama che aveva stroncato il suo parente e garante e, ai suoi piedi, la fiammella, proseguiva imperterrita la sua danza furibonda.
Ansimante, Gualtiero si rivolse all’aria e disse: - Ecco. Osato l’inosabile. Non ti offro una semplice verginella, bensì il sangue benedetto di un cardinale della chiesa. Non è forse un’ambrosia forte ed inebriante? Questo è il mio omaggio. Un’anima privilegiata, strappata al paradiso.
-IL TRADITORE CI SAREBBE COMUNQUE GIUNTO, ALLA RESA DEI CONTI.- la voce che rispose, aveva il suono di un tuono, che macinava montagne con denti di titanio. Faceva rimbombare le pareti, feriva i timpani, la terra sussultava sotto i piedi, a testimonianza di una forza possente, che scuoteva gli animi fin nel profondo dell’essenza di ognuno. Gualtiero sentì il cuore che gli galoppava dentro alla gabbia toracica, come un puledro in preda al panico in una stalla in fiamme.- Chi sei?
-QUEL CHE VOLEVI.- tutti i membri del club, servitori e guardiani compresi, si prostrarono istintivamente, respirando la polvere antica in guisa di penitenza. -Non ti basta il mio sacrificio?
-E’ UN BEL PENSIERO. MOLTO ARDITO. LA TUA AMBIZIONE DEVE ESSERE GRANDE.
-Grandissima.
-MANCA UN PARTICOLARE.
-Illustramelo.
-UNA PARTE DEL TUO CORPO.- Gualtiero comprese, si volse al guardiano che tratteneva la ragazza e gli ordinò di salire nella cripta. L’uomo, senza esitazioni, si precipitò al piano superiore e ritornò, reggendo il piattino con la falange recisa di Gualtiero. -Ecco.
-BRUCIA IL DONO SULLA FIAMMELLA.- eseguì meccanicamente. La punta del dito si dissolse in un guizzo lancinante, la voce d’incubo, torturò ancora l’aria: -ORA TI CONOSCO. GUALTIERO Turnàd. INTERESSANTE.
-Allora?
-IN QUESTO LUOGO NOI DUE NON ABBIAMO Più NULLA DA DIRE. DOMANI NOTTE. DOPO LA MEZZANOTTE. FATTI TROVARE NEL LOCALE CALDAIE DELLA VECCHIA FABBRICA Turnàd. A CADMIA.- la voce smise di martoriare l’ambiente e la piccola fiamma rossa, al centro del pentacolo, si spense istantaneamente.
   Ora, Gualtiero, si volse in direzione dei soci, pronto ad affrontare la loro reazione per l’assassinio appena perpetrato. Si sentiva forte e pronto a qualunque scontro. La reazione del club, invece, fu per lui inaspettata. I ricchi, i nobili, i potenti si riassettarono; gli uomini si abbottonavano indifferenti i pantaloni e le donne si sistemavano le giarrettiere. Leuse, per prima parlò, rivolta sia agli altri che a Gualtiero. – Ho udito le parole dell’oracolo, prima del sacrificio.- disse – Era un segno. Il Turnàd ha avuto l’acume d’interpretarlo. Il demone lo ha approvato.
-Zock?- domandò qualcuno. Leuse fu rapida ed efficiente: - Il dottor Orte, gentilmente, ricucirà la sua gola tagliata. I nostri fidi collaboratori si preoccuperanno di ricomporre la sua salma nel letto sereno della sua abitazione. Orte diagnosticherà un tragico infarto notturno e tale versione sarà convalidata dalla pronta indagine ordinata dal giudice Watel. Mi preoccuperò personalmente di farvi pervenire gli inviti al suo funerale. Credo che per stasera, sia tutto, signori.- disorientato, Gualtiero, osservò i presenti defluire verso i piani alti del club. Attorno a lui, i servitori incappucciati, riordinavano la sala. Vicino a lui, Leuse osservava il corpo di Zock, riverso in una larga pozza rossa. – Vi ho tolto l’evocatore.- disse lui. La donna scosse le spalle ben tornite e con indifferenza rispose: - Non era la sola personalità della chiesa a essere affiliata. Stanotte avvertiremo monsignor Hobelio. I membri del clero, affiliati all’Omnialudo, non si conoscono tra loro. Una misura cautelare decisa in comune.
-Sembra che tutto s’incastri perfettamente.- commentò con malcelata soddisfazione, Gualtiero. Leuse sorrise, gli prese il braccio e lo accompagnò al mondo di sempre.

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